Rinuncia alla proprietà, in pochi sanno che è possibile. La Cassazione n.3819/2015 ci consente di commentare un interessante caso di rinuncia alla propria quota della casa di famiglia.
In un precedente post, avevamo spiegato cos’è e come avviene la rinuncia alla proprietà di un immobile (o di una quota di comproprietà). Tale strumento è usato solitamente per disfarsi di una casa vecchia e in rovina a favore dello stato. O per lasciare i costi e pensieri della propria quota minimale di comproprietà agli altri comproprietari.
Un caso particolare esaminato dalla Cassazione: la rinuncia alla proprietà immobiliare quale pianificazione successoria
Una madre ed i cinque figli erano proprietari in comunione di un grande fabbricato. Hanno pensato di dividerlo con lo strumento della rinuncia alla proprietà. Hanno quindi sottoscritto una scrittura privata. Con la stessa, la madre e quattro figli hanno rinunciato alle rispettive quote di comproprietà immobiliari In tal modo l’ultimo figlio/fratello si è visto automaticamente accrescere la propria quota, diventando proprietario dell’intero. Il medesimo figlio/fratello si è impegnato a sua volta a rinunciare a favore dei fratelli ai diritti di comproprietà che gli sarebbero potuti derivare per successione ereditaria su altri cespiti. Pertanto, la rinuncia alle quote di comproprietà non è stata fatta per disfarsi di un immobile. Ma quale strumento pianificatorio per dividere il patrimonio familiare senza procedere a atti di divisione, di cessione o di donazione.
La rinuncia alla proprietà è soggetta ad atto pubblico essendo una donazione?
Fermo restando il principio della legittimità della rinuncia di proprietà, cosa ha dibattuto la Suprema Corte? La prima questione era se fosse necessario di procedere ad una rinuncia con un atto pubblico. La stessa forma prevista per le donazioni. Nei fatti, la rinuncia poteva considerarsi una donazione in favore dell’ultimo figlio/fratello. La Sentenza n.3819 del 25 febbraio 2015 ha stabilito che la rinuncia di proprietà è fatta in modo da avvantaggiare solo in via riflessa tutti gli altri comproprietari. Il vantaggio accrescitivo da parte dell’ultimo figlio/fratello si è insomma verificato solo in modo indiretto. Essendo la rinunzia alla quota da parte del comunista, diverso dal contratto di donazione, non è necessaria la forma dell’atto pubblico richiesta per quest’ultimo
La seconda questione al vaglio della Suprema Corte.
Era pacificamente nulla la rinuncia ad una futura eredità da parte dell’ultimo figlio/fratello (ai sensi dell’art.458 c.c.). Non si può infatti rinunciare ad una futura eredità. Tale nullità si riverberava anche sulla rinuncia di proprietà operata dalla madre e dai quattro rimanenti fratelli? La Sentenza ha affermato che la Corte d’Appello non aveva riscontrato un’interdipendenza tra le due pattuizioni. Anche perché la rinuncia all’eredità futura era generica. Confermava pertanto la piena validità della rinuncia di proprietà. E dunque dell’accrescimento della quota di comproprietà dell’unico figlio/fratello non rinunciatario.
Conclusioni
La Sentenza ci permette anzitutto di evidenziare come lo strumento di rinuncia alla proprietà sia del tutto valido e lecito. Inoltre osserviamo come questo strumento può essere utilizzato nell’ottica di una pianificazione patrimoniale ed ereditaria. In concorrenza con altri strumenti, quali donazioni, vendite, permute, divisioni. Con tutte le implicazioni fiscali.
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